
Negli ultimi
giorni si sentono notizie sul difficile equilibrio politico presente
in Siria. Dopo l’ultimatum dato dall’America al regime, le forze
diplomatiche dell’Iran fanno sentire il loro peso. Lo scacchiere
politico si complica ancora una volta. Gli iraniani affermano infatti
che se avverrà un intervento militare da parte delle forze
occidentali ci saranno ripercussioni sullo stato di Israele. Insomma,
la primavera araba, iniziata ormai due anni fa, non da segni di
sviluppo. La crisi in Siria si affianca a quella sempre più confusa
della situazione egiziana. Prima di loro, Tunisia, Libia e Marocco.
Se però è lecito da parte dei paesi europei ed occidentali
preoccuparsi su cosa succede ai loro vicini, è tuttavia lecito
domandarsi con che autorità essi intervengano su suolo straniero. Si
prenda in considerazione la situazione siriana. Il governo francese
quello americano e inglese hanno preso l’iniziativa per i futuri
attacchi “per punire” l’ingiustificabile attacco chimico
capitato il 21 settembre. Questo accade però senza l’approvazione
dell’Onu o di altre organizzazioni internazionali. Il ministro
degli Esteri Emma Bonino ha sottolineato negli scorsi giorni questo
tratto, sottolineando che l’unico ente responsabile per
l’organizzazione di eventuali azioni politiche è l’Onu appunto.
L’Italia ha negato la partecipazione militare in Siria auspicandosi
che si possa prima risolvere il conflitto diplomaticamente. Eppure le
basi italiani in questi giorni sono state largamente utilizzate per
lo spostamento di carco, caccia e logistica militare indirizzati a
oriente. Se da una parte quindi ci si deve preoccupare per la
violazione dei diritti umani, non ci si può dimenticare delle
ripercussioni e delle responsabilità che possibili attacchi militari
possano riflettere su tutto il Mediterraneo. Negli ultimi giorni
l’Italia ha avuto a che fare con serie difficoltà nel salvare
centinaia di profughi siriani ed egiziani al largo sulle coste. Non
si può pensare di compiere manovre politiche le cui ripercussioni si
manifestino sulle spalle di altri stati. Questa sembra essere una
lezione che i paesi dell’Europa e dell’America non abbiano ancora
compreso dopo quasi un secolo.
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